Chi sei quando nessuno ti guarda?

Un viaggio tra i tipi psicologici di Jung e le immagini dell’anima secondo Hillman.

A volte basta una festa per rivelarci a noi stessi. C’è chi entra come un fiume in piena: stringe mani, ride, intreccia conversazioni come se il mondo intero fosse una possibilità da esplorare. Qualcun altro si ferma sulla soglia, osserva. Sorride, forse, ma senza fare rumore. Preferisce ascoltare le onde emotive che attraversano la stanza, piuttosto che cavalcarle.

Questi non sono semplici tratti caratteriali. Secondo Carl Gustav Jung, sono l’espressione di qualcosa di più profondo: il modo in cui la nostra psiche abita il mondo. I suoi Tipi Psicologici non servono a classificare, ma a comprendere. Sono mappe simboliche, strumenti per iniziare un viaggio dentro di sé.

Il primo bivio: dentro o fuori.

Per Jung, ogni individuo si orienta lungo due direzioni fondamentali: estroversione e introversione.

L’estroverso è attirato da ciò che accade fuori di lui: le persone, i fatti, le situazioni. Vive nel dialogo, nell’azione, nella rete delle connessioni. Trova nutrimento nell’evento.

L’introverso, invece, si muove verso l’interno. Riflette, elabora, osserva. Il suo mondo è fatto di silenzi, immagini interiori, ritmi più lenti ma profondi. Si rigenera nel contatto con se stesso.

Non è una questione di timidezza o socievolezza. È una questione di dove va l’energia dell’anima.

Quattro modi di vedere il mondo.

Ma l’attitudine da sola non basta. Jung identifica anche quattro funzioni attraverso cui ci relazioniamo alla realtà. Sono come gli strumenti di un’orchestra interiore: ognuno di noi ne privilegia uno, mentre gli altri restano più in sordina.

  • La Sensazione si fida dei sensi. Tocca, vede, ascolta, fiuta il mondo. Vive nel presente, nel dettaglio, nel concreto.
  • L’Intuizione guarda oltre. Coglie tendenze, simboli, connessioni invisibili. Vive di visioni e possibilità future.
  • Il Pensiero cerca ordine e logica. Analizza, valuta, argomenta. Vuole coerenza e chiarezza.
  • Il Sentimento misura il valore, non l’utilità. Sa distinguere cosa è giusto o sbagliato non con la mente, ma con il cuore.

Ognuna di queste funzioni può essere introversa o estroversa, generando otto grandi tipi psicologici. Ma sarebbe un errore pensare che si tratti di etichette rigide. Per Jung, ogni tipo è una porta d’accesso al Sé, il nucleo profondo della psiche. Per James Hillman, ogni tipo è una figura mitica che ci abita, un personaggio dell’anima che chiede di essere ascoltato.

Otto ritratti dell’anima.

In ogni tipo si nasconde una tensione, una bellezza, un punto cieco.

  • Giorgio è un manager deciso, brillante nel pensiero estroverso. Ma fatica a sentire le proprie emozioni.
  • Elisa, pensiero introverso, riflette a lungo prima di parlare. Le sue idee sono profonde, ma a volte inaccessibili.
  • Paola vive per gli altri: il suo sentimento estroverso armonizza tutto, tranne se stessa.
  • Andrea, sentimento introverso, sembra freddo. Ma dentro custodisce un mondo emotivo ricco e vulnerabile.
  • Luca, sensazione estroversa, è uno chef: vive nel sapore, nella forma, nell’attimo.
  • Miriam, sensazione introversa, dipinge emozioni tattili e intime.
  • Davide è intuizione estroversa: lancia idee, insegue visioni, si stanca del presente.
  • Nina, intuizione introversa, scrive poesie dense di simboli. Vive più nei mondi possibili che in quello reale.

Ogni tipo ha una funzione inferiore, una parte meno sviluppata, spesso proiettata nell’ombra. E qui, il dialogo tra Jung e Hillman diventa particolarmente fecondo.

Per Jung, integrare la funzione inferiore è un passo cruciale nel percorso di individuazione. Per Hillman, essa non è solo una carenza, ma una porta immaginale. È lì che si nasconde una voce poetica, una figura archetipica trascurata, un potenziale da accogliere più che da “correggere”.

Non sei un tipo, sei una storia.

Conoscere il proprio tipo psicologico può essere utile: ci aiuta a capire perché certe situazioni ci esauriscono e altre ci nutrono. Ci orienta nelle scelte di lavoro, nelle relazioni, nella crescita personale.

Ma la vera scoperta non sta nel dire “sono un introverso intuitivo” o “sono un estroverso sensitivo”. Sta nel chiederci: che storia sta raccontando la mia psiche attraverso questo modo di essere?

Per Hillman, ognuno di noi è chiamato da un daimon, una vocazione invisibile, una forza che ci accompagna fin dalla nascita. Il nostro tipo psicologico è una delle sue lingue. Ma non l’unica. C’è sempre un’altra immagine che bussa alla porta. Una figura in ombra. Una funzione non sviluppata che ci osserva da lontano, aspettando di essere vissuta.

Una mappa, non una gabbia

I tipi psicologici non sono gabbie. Sono mappe dell’anima. Offrono orientamento, non definizioni. Non servono a ridurre l’essere umano, ma a invitarlo al viaggio.

Jung ci insegna a conoscere le nostre funzioni. Hillman ci insegna a onorare le immagini interiori. Entrambi, in modi diversi, ci guidano verso lo stesso luogo: il Sé, l’interiorità viva, misteriosa, irriducibile, l’anima.

E allora, più che chiederci “che tipo sono?”, potremmo iniziare a chiederci:

Quale mito sto vivendo? Quale voce cerca di parlarmi attraverso i miei pensieri, i miei gesti, i miei desideri?

Perché non siamo solo un tipo.

Siamo una storia in cammino.

Bibliografia.

Hillman, J., 1975, Re-visione della psicologia, Adelphi edizioni, Milano, 2008.

Hillman, J., 1996, Il codice dell’anima, Adelphi edizioni, Milano, 2023.

Hillman, J., 1975, Le storie che curano, Adelphi edizioni, Milano, 2008.

Jung C. G., 1921, Tipi psicologici, Opere, Vol. 6. Torino, Boringhieri, 1969.

Jung C. G., 1992, Ricordi, sogni, riflessioni di C. G. Jung, raccolti ed editi da Aniela Jaffé, Milano, Rizzoli, 2022.

Von Franz, M. L., 1981, Tipologia psicologica, Red, Milano, 2019.

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